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Io nel pensier mi fingo

Il richiamo alla poetica, e in particolare alla poesia "L'Infinito" di Giacomo Leopardi, è uno dei principali riferimenti letterari di una mia recente opera pittorica.

Potrebbe essere pensata come la raffigurazione di un percorso interiore, di un cammino che, partendo dal concreto, da un limite,  "la siepe" dell'Infinito di Leopardi, che nel dipinto corrisponde alle trame di fiori e foglie sulla destra, porta l'osservatore ad anelare ciò che non ha limiti di spazio, per superarli e addirittura sprofondare, "naufragar" nell'assoluto.

Rapporti infiniti, tempera acrilica, carta, metallo su tela, cm 40x40, 2021
Rapporti infiniti, tempera acrilica, carta, metallo su tela, cm 40x40, 2021

La “siepe”, quel piano che avanza, come un corpo tangibile, fissa un confine immobile, che scherma lo sguardo e fa nascere, per contrasto, il desiderio di spazi infiniti. Pensieri accompagnati da percezioni mentali di silenzi assoluti, che incutono sensazioni di sconforto, di paura “ove per poco/il cor non si spaura”.

Il silenzio, come idea, come percezione, è una componente dell’Infinito cosmico. Quel silenzio che viene rotto da un rumore, nella poesia il vento fra le piante, nel dipinto un battito d’ali. Il rumore del vento è anche battito d’ali, è il rumore della vita, che riporta al presente, all’attimo esistenziale che fa scaturire, per contrasto, il rapporto con il passato, anche quello dilatabile all’infinito, fino a confondersi con l’eternità.

Catturato da queste due sensazioni d’infinito, spazio e temporale, l’osservatore perde perciò la sua identità, cioè perde letteralmente le coordinate spazio-temporali, naufragando nell’immensità, si confonde con il tutto.

L’opera è perciò metafora della perdita delle coordinate spazio/temporali nell’arte, della perdita di una chiara e precisa identità figurativa, ove tutte le espressioni convogliano in un unico grande eco che riverbera all’infinito. 

 

L’infinito è un cielo eterno, dell’oggi ma anche quello che nel dipinto trae spunto dalla pittura dell’800 dell'inglese J.Constable. A destra, sulla “siepe” si dispiegano delle trame, due motivi decorativi a "rapporto infinito" entrano in relazione. Lo schema compositivo della decorazione rimanda al fluire dell’acqua: è la citazione di una stampa della tradizione giapponese dell'Ukiyo-e. Sopra di esso un delicato motivo a foglie e fiori deriva invece dalla tradizione cinese. Trame che si intersecano, lasciando affiorare delle forme, come dei lacerti, fra essi un’onda stilizzata accanto all'ala dell'uccello.

 

I fiori di carta dipinti a mano aggiungono tridimensionalità, racchiudono il desiderio di “toccare con mano” l’opera che diviene perciò un tramite tra realtà e immaginazione. 

La composizione richiama il pensiero post-moderno di raccogliere ed assemblare elementi, tracce culturali da ogni dove, nel passato e nel presente. Dal medioevo giunge l'uso dell'oro e della dimensione artigianale che unisce pittura e scultura tipica nelle pale d'altare. Il tema dell'uccello, una Nettarinia Pettirossa osservata con spirito leonardesco, ha le ali che si dispiegano, suggerisce l’idea di un essere messaggero, forse un' Annunciazione. Ed ancora, la forte antitesi/relazione fra figura e paesaggio sono un richiamo derivante dalla pittura veneta del Rinascimento. E' un'opera che offre una sintesi del molteplice, del contrapposto, cerca un dialogo con il passato, con tanti passati diversi, li rilegge e li ripropone come fortemente attuali, come è sempre attuale l'eterna contrapposizione/unione fra essere e non essere, aperto e chiuso, mente e corpo, spirituale e materiale.

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